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La patrimonializzazione delle società e i rapporti con la disciplina relativa all’accesso al credito..

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Le difficoltà e l’onerosità di reperire risorse sul fronte del credito bancario rendono frequente il ricorso alle provviste proprie dei soci per finanziare le società. E’ necessario però interrogarsi in ordine alla legittimità degli apporti patrimoniali in una ottica di rapporto con la disciplina relativa all’accesso al credito.
Le difficoltà e l’onerosità di reperire risorse sul fronte del credito bancario rendono frequente il ricorso alle provviste proprie dei soci per finanziare le società.
Gli apporti in denaro si presentano in varie forme, e con differenti conseguenze ed implicazioni sul piano del diritto civile e di quello tributario.
Una distinzione in detto ambito è quella tra conferimenti, eventualmente con sovrapprezzo, versamenti a fondo perduto e quelli per i quali, invece, è previsto un obbligo di restituzione da parte della società stessa al socio.
I conferimenti, normalmente in denaro, ma sono concepibili, quando statutariamente previsti, anche in natura, si hanno in sede di costituzione della società o di aumento del capitale sociale. Vanno a costituire il capitale sociale determinando una posta patrimoniale indisponibile, salvo operazioni sul capitale, destinata a garanzia del soddisfacimento delle pretese dei creditori sociali e concorrono a determinare la percentuale di partecipazione dei soci a questo.
I versamenti a fondo perduto si hanno quando i soci, pur non volendo procedere a un formale aumento di capitale, decidono di sopperire al fabbisogno del capitale di rischio con nuovi versamenti.
In tali casi, manca una specifica ed esplicita pattuizione da cui scaturisca un obbligo di restituzione ai soci dei versamenti effettuati. Questi si configurano, pertanto, come vere e proprie riserve di capitale, da collocare in bilancio all’interno del patrimonio netto, al punto VII “Altre riserve”, in voci denominate normalmente “Versamenti in conto capitale”.
I versamenti a titolo di finanziamento sono quelli per i quali la società ha obbligo di restituzione. Trovano collocazione in bilancio tra le passività, alla lettera D, punto 3, «debiti verso soci per finanziamenti». Non è rilevante la natura fruttifera o meno di tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati da tutti i soci in proporzione alle quote. Il loro eventuale passaggio a capitale, seguendo l’iter normativamente previsto, necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione.
I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono quelli effettuati in via anticipata e in previsione di un futuro aumento di capitale. Si tratta di riserve di capitale con uno specifico vincolo di destinazione e con una “targatura” soggettiva che collega la posta patrimoniale ad un nominativo specifico.
I versamenti inconto aumento di capitale si hanno in presenza di un aumento a pagamento del capitale sociale già deliberato, nelle more dell’iscrizione nel Registro delle imprese dell’attestazione degli amministratori dell’avvenuto aumento del capitale sociale, in esecuzione della sottoscrizione e della integrale o parziale liberazione del capitale sociale sottoscritto. I versamenti già effettuati vengono rilevati in un conto transitorio acceso a una riserva di capitale, che verrà poi imputata al capitale sociale, una volta perfezionata l’intera operazione. Se la procedura non si perfeziona (ed esempio nella ipotesi di aumento del capitale sociale inscindibile non integralmente sottoscritto), i soci hanno diritto alla loro restituzione poiché il mantenimento della posta patrimoniale in capo alla società costituirebbe un indebito.
Dal punto di vista della società, se è stabilita la corresponsione di interessi, e pertanto il finanziamento sia disciplinato e concertato come fruttifero, si manifesta a fine esercizio una componente negativa, che è deducibile se sono rispettate le condizioni poste dall’articolo 96 del TUIR. Nel momento dell’erogazione effettiva degli interessi, la società deve operare una ritenuta a titolo di acconto (art. 26, c. 5 del D.P.R. n. 600/1973), poiché per il socio percipiente gli stessi interessi costituiscono un reddito da capitale da inserire nel modello Redditi. Inoltre, l’esistenza di un finanziamento presuppone la compilazione di una comunicazione tematica, da inviare all’Agenzia delle Entrate.
Dal punto di vista del socio, se il finanziamento è fruttifero si genera un reddito da capitale che l’articolo 45, comma 2, del TUIR presuppone tassabile nel periodo in cui contrattualmente è prevista la percezione. Si noti, poi, che l’erogazione di un finanziamento dimostra capacità contributiva, con tutte le conseguenze del caso.
Quanto ai versamenti eseguiti dai soci a favore della società ove non sia stato previsto il diritto alla restituzione, essi vengono appostati contabilmente in una riserva che incrementa il patrimonio netto sociale. Sono denominati, normalmente, versamenti in conto capitale o a fondo perduto, una volta eseguiti, essi entrano nel patrimonio della società integrando una riserva disponibile, perdendo ogni correlazione con il socio che li ha versati. Conseguentemente, qualora poi questa riserva venisse utilizzata per degli aumenti gratuiti del capitale sociale oppure venisse restituita ai soci, magari mediante una riduzione reale e volontaria del capitale sociale, essa verrebbe assegnata rispettando, e quindi in proporzione, le quote di partecipazione di ciascun socio al capitale sociale. Ancora, se venisse ceduta una partecipazione da parte di un socio che avesse precedentemente eseguito versamenti in conto capitale, l’acquirente non potrebbe eccepire alcun diritto su tale versamento, poiché detta posta costituisce parte integrante del patrimonio netto della società .
I versamenti a fondo perduto possono essere utilizzati, a mezzo di delibera della assemblea (ordinaria ove resiste, come nelle S.p.A. ed a differenza di quanto accade nelle S.r.L., ove la ripartizione tra assemblea ordinaria e straordinaria non è più presente) per coprire perdite di esercizio; peraltro, anche i finanziamenti dei soci a titolo finanziamento, possono essere oggetto di rinunzia alla restituzione e, quindi, venire utilizzati, una volta allocati in apposita riserva, per la copertura delle perdite.
I soci possono eseguire anche versamenti che, come quelli precedenti, sono privi del diritto di rimborso, ma sono vincolati a un futuro aumento di capitale, e sono anche normalmente “targati” nominativamente al soggetto erogante. Tale situazione si distingue dalle altre, sopra descritte, proprio in ragione del vincolo di destinazione. Il vincolo comporta che il versamento non possa essere utilizzato per scopi diversi dall’aumento di capitale, tanto che, se per qualunque ragione l’aumento non dovesse avvenire, la società dovrebbe restituire le somme al socio “targato” che le ha precedentemente versate e quindi corrisposte.
Al contrario dei versamenti in conto capitale, i versamenti in conto futuro aumento di capitale mantengono dunque una correlazione con il socio che li ha eseguiti e tale vincolo viene mantenuto anche in caso di cessione di quota, per cui l’acquirente potrà pretendere per sé la restituzione della somma versata a suo tempo dal cedente.
Infine è possibile che i soci apportino risorse ulteriori in società mediante lo strumento del sovrapprezzo. Quest’ultimo è inscindibilmente collegato alle operazioni attinenti il capitale e nello specifico alle operazioni di aumento (o di costituzione) del capitale sociale; la assemblea dei soci può deliberare un aumento del capitale sociale con sovrapprezzo e quindi i soci, nel caso in cui intendano procedere ad accettare la proposta della società di aumento del capitale sociale, data dalla delibera societaria, mediante la sottoscrizione del capitale sociale loro offerto in opzione, dovranno liberare il capitale sociale sottoscritto versando anche una somma di denaro a titolo di sovrapprezzo. Si precisa che il sovrapprezzo è concepibile, e quindi è uno strumento che può essere utilizzato oltre che nell’ipotesi di aumento del capitale sociale, anche in una situazione genetica della società e quindi in sede costituiva.
Fatta questa disamina dei possibili apporti patrimoniali dei soci alla società è opportuno interrogarsi in ordine alla legittimità degli stessi in una ottica di rapporto con la disciplina relativa all’accesso al credito.
In particolare, la Delibera Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio rispettivamente agli articoli 2 e 6, stabilisce quanto segue:
“Art. 2 Raccolta del risparmio tra il pubblico”

  1. La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche, fatto salvo quanto previsto dall’art. 11 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e, con riguardo all’emissione di strumenti finanziari, dalla presente delibera.
  2. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata: in connessione all’emissione di moneta elettronica; presso soci, dipendenti o società del gruppo secondo le disposizioni della presente delibera; sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento.
    “Art. 6 Raccolta presso soci”
  3. Le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché tale facoltà sia prevista nello statuto. Resta comunque preclusa la raccolta di fondi a vista e ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento.
  4. Le società diverse dalle cooperative possono effettuare la raccolta di cui al comma 1 esclusivamente presso i soci che detengano almeno il 2per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. Per le società di persone tali condizioni non sono richieste.”
    Si sottolinea che il TUB (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) definisce, all’art. 11 comma 1, la raccolta del risparmio come “l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sottoforma di depositi sia sotto altra forma”. Il successivo comma 2, testualmente dispone: “La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche.”
    Le predette disposizioni in materia di ricorso al credito, prevedono che solo gli istituti di credito possono eseguire sollecitazioni al pubblico risparmio e, quindi, le società di capitali possono ricevere versamenti, che restituiscono con interessi, solo dai predetti enti.
    Per completezza si rammenta che le operazioni di finanziamento da parte di soci che non rispettino le sopra menzionate prescrizioni normative sono sanzionate a norma dell’art. 130 del Testo Unico Bancario con l’arresto da 1 a 3 anni nonché con l’ammenda da € 12.911 ad € 51.645.
    Deroga quanto sopra riportato la raccolta fondi effettuata sulla base di una espressa previsione statutaria, con trattative personalizzate con singoli soggetti, che siano soci che detengano almeno il due per cento del capitale sociale e che siano iscritti nel libro soci (ove previsto o altrimenti che siano soci) da almeno tre mesi, mediante contratti dai quali risulti la natura del finanziamento.
    L’esecuzione di questa (legittima) tipologia di finanziamento avviene, di norma, in forza di una corrispondenza commerciale tra i soci, che dichiarano la loro disponibilità a eseguire il versamento, e la società, che ne dichiara l’accettazione.
    Tale forma comporta che non si deve porre in essere (contestualmente, stante la necessità della registrazione in solo caso d’uso della fattispecie in oggetto) il versamento dell’imposta di registro, che sarebbe invece dovuta se fosse predisposto un vero e proprio contratto di finanziamento. Nella corrispondenza commerciale sarà necessario pattuire le caratteristiche del finanziamento, cioè se sia fruttifero o infruttifero e quale sia la data prevista per la restituzione.
    Quello tra i sopraelencati requisiti di legittimità dei versamenti alle società che, solitamente, crea maggiori problematiche è quello relativo all’anzianità di iscrizione nel libro Soci (per le S.r.l. si deve intendere iscrizione nel Registro delle Imprese, nel caso in cui non sia previsto il libro soci volontario), in quanto accade molto spesso che le società, nei primissimi mesi o nei primissimi giorni dalla costituzione abbiamo necessità di acquisire finanziamenti dai soci, o che nuovi soci, entrati da poco nella compagine sociale, siano chiamati a sopperire alle esigenze finanziarie della società.
    A questo proposito, merita sottolineare che l’eventuale assenza di uno o più dei diversi requisiti sopra riportati non comporta necessariamente un’attività illecita di raccolta del risparmio tra il pubblico, in quanto occorre anche individuare cosa si debba intendere per “pubblico”, specie in caso di società con un numero limitato di Soci.
    È opportuno evidenziare comunque, quanto previsto dal comma 2, dell’art. 2 della delibera in esame che, in relazione all’individuazione delle tipologie di raccolta che non costituiscono raccolta di risparmio tra il pubblico, riporta testualmente: “sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento”. Quindi, anche in mancanza di uno o più dei requisiti indicati, qualora la società ottenga finanziamenti sulla base di trattative personalizzate con singoli soci, contrattualmente formalizzate, non si evidenzia alcun comportamento illecito.
    Inoltre, considerato che l’art. 2 citato non fa riferimento a soci, bensì a “singoli soggetti”, è possibile anche ritenere legittima l’acquisizione di finanziamenti da parte di soggetti terzi, purché sempre sulla base di trattative personalizzate.
    In questi casi è comunque opportuno e consigliabile che le operazioni effettuate siano occasionali e non standardizzate.
    La predisposizione di appositi contratti, come sopra riportato magari anche per corrispondenza commerciale, possibilmente con l’attribuzione di data certa, oltre a soddisfare la condizione citata, può permettere di mitigare se non di vanificare eventuali tentativi di riqualificazione dei finanziamenti dei soci in apporti di capitale e/o di contrastare la presunzione legale di onerosità delle somme e la conseguente percezione degli interessi da parte del mutuante.
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